Da qualche tempo si guarda ai prodotti televisivi con un occhio meno critico. Pubblico e critica stanno capendo che il potenziale e il valore di certe serie tv è maggiore o uguale (noi propendiamo per la prima ipotesi!) di quello di certi capolavori del cinema.
Ma in questo giudizio meno critico sulla serialità televisiva si sta ricreando un certo snobismo che tende a fare una netta differenza e separazione tra le produzioni dei grandi network generalisti e quelli delle tv di via cavo, di nicchia e quindi “per definizione” di qualità. Su questo blog abbiamo sempre denunciato tale discriminazione e riteniamo che tante pietre miliari della serialità siano state prodotte proprio dalle televisioni generaliste.
Qualche giorno fa “in nostro soccorso” è arrivata anche l’attenta ed esperta Stefania Carini. Lo spunto è stato un suo pezzo su Europa a commento di The Leftovers, serie tv a tematica supernatural/mystery che riprende certe suggestioni e atmosfere tipiche del mitico Lost. The Leftovers va in onda sul canale via cavo HBO, Lost è stata trasmessa sul network generalista Abc.
The Leftovers parte da un evento misterioso: la sparizione del 2% della popolazione mondiale. Il potenziale di tale linea narrativa potrebbe essere favoloso ma, almeno per ora, la serie sembra un po’ “girare a vuoto” e rimane lontana dalla potenza narrativa e dall’ottima scrittura di Lost. Scrive Stefania Carini:
La differenza tra Lost e XFiles, due serie capolavoro da Tv generalista, e The Leftover, è che in quest’ultima non ci sono i personaggi. Azione e psicologia sono inconsistenti. Nessuno dei protagonisti suscita così il nostro interesse. […] Certo, The Leftover utilizza l’armamentario di molta scrittura alta, evocativa, complessa. Ma finora non emoziona, e gira a vuoto.
Partendo da questa riflessione, Carini allarga il giudizio e scrive parole che ci sentiamo di sottoscrivere in pieno e riportare:
che la serie sia da monito a tutti quelli che, spesso cinefili duri e puri, hanno improvvisamente abbracciato in questi ultimi anni la serialità americana ma solo quella “da cinema”, quella “da Tv via cavo”, quella “di qualità”, spesso elogiando serie più pallose di certi film da festival. Mai dimenticarsi della potenzialità altissima di tutti quei titoli che riempiono i palinsesti delle generaliste americane, e che davvero cambiano in profondità il pensiero narrativo dello spettatore. Altrimenti si rischia di fare con la Tv lo stesso errore fatto con il cinema, diviso tra popolare-cattivo e d’autore-buono. La Tv non si merita questo.