Dopo aver visto la prima puntata di Standing Ovation – il nuovo baby talent di Antonella Clerici, in onda il venerdì sera su Rai1 – abbiamo provato a scrivere un commento ma non ci venivano le parole (solo parolacce!). Abbiamo aspettato e dato un’occhiata alla seconda puntata ma la nostra ispirazione non era cambiata. Abbiamo così deciso di seguire il consiglio del filosofo: per vedere più lontano, noi nani siamo saliti sulle spalle dei giganti.
Ci sembra che le sensazioni che abbiamo avuto siano state spiegate al meglio da Aldo Grasso sul Corriere della Sera. L’articolo analizza Standing Ovation in confronto al precedente baby talent della Clerici, Ti lascio una canzone:
«Standing Ovation» è tratto dal format internazionale «Stand up for your country» e questa è in parte una fortuna: la gabbia rigida del meccanismo tiene a bada i difetti peggiori di «Ti lascio una canzone», impedendo di sbracare con la rappresentazione di un’infanzia adultizzata, con i bambini chiamati a un esercizio di mossette e moine per interpretare brani lontanissimi dalla loro età.
Ma il giudizio del critico televisivo è lapidario:
Il nuovo show è una sorta di versione ripulita rispetto al passato [Ti lascio una canzone, NdR], peccato che l’alternativa che si è trovata al precedente stile di racconto non sia migliore: un trionfo di emotainment, carrambate varie, poche remore a ravanare nel privato delle famiglie, quasi tutte con relativo bagaglio drammatico al seguito.
Grasso rileva che per salvare il “politicamente corretto” (e dunque non criticare i bambini), si snatura completamente la dinamica competitiva e anche crudele del talent (tale dinamica è proprio il punto di forza di questo genere televisivo). In base a questa riflessione, il pezzo si chiude con una domanda retorica a cui già è stata data la risposta:
Non sarà allora proprio il genere del talent televisivo con protagonisti i bambini a contenere in sé una contraddizione di fondo, irrisolvibile?