Anche Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della Sera, ha rivolto la sua attenzione a Daydreamer, con un’analisi che da televisiva diventa geopolitica.
Anzitutto, Daydreamer viene inserita in un filone che ha radici antiche: “Dopo i cult statunitensi degli anni ’80 e l’epopea delle telenovelas sudamericane e spagnole, per rinnovare il proprio racconto di amori e sentimenti Mediaset guarda a una nazione che è nuova frontiera del genere”.
Da oltre un decennio, infatti, la Turchia sforna soap opera che si sono imposte all”attenzione del pubblico di mezzo mondo e anche in Italia abbiamo precedenti di successo (Cherry Season e Bitter Sweet, sempre con protagonista Can Yaman).
Aldo Grasso mette subito in evidenza alcune caratteristiche di Daydreamer: “I protagonisti sono giovani e avvenenti, le storie (di passione e riscatto) sono universali, le ambientazioni iconiche con scorci di città, paesaggi o luoghi di lavoro”.
Secondo il Corriere, ad una trama “semplice” e a una fotografia “colorata”, fanno da parziale contraltare “dialoghi piatti e una regia minimale”. Ma è proprio a questo punto che l’analisi di Aldo Grasso dal piano televisivo si sposta addirittura a quello geopolitico: “la soap mostra furbescamente una Turchia ben diversa da quella che potremmo attenderci”.
Secondo il critico televisivo la serialità turca chiaro esempio di “soft power“: le soap opera vengono “utilizzate e promosse dal governo di Erdogan come progetto di espansione culturale“. Negli episodi, infatti, ci sono pochissimi riferimenti alla religione, e – grazie ad un amalgama tra tradizione e modernità – si cerca di far passare un “racconto alternativo” del paese.
Grazie a questi elementi le serie turche sono riuscite ad imporsi nei palinsesti delle televisioni occidentali. “Dovremo rifletterci”, chiosa dubbioso Aldo Grasso.